ROPE-A-DOPE

Muhammad Ali vs George Foreman: Rumble in the Jungle

Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966, campione mondiale dei Pesi medi tra il 1967 e il 1970, è stato uno dei migliori pugili italiani e uno tra gli atleti italiani più amati di tutti i tempi.Nelle situazioni competitive al di fuori del pugilato, il termine rope-a-dope è utilizzato per descrivere una strategia in cui una delle parti si mette di proposito in una posizione apparentemente svantaggiosa, cercando in tal modo di ottenere la vittoria finale. Si tratta perciò di una tecnica che si basa prevalentemente sullo stile di gioco del rivale.Secondo l’allenatore Angelo Dundee, il concetto per la strategia contro Foreman fu suggerito ad Alì dal fotografo sportivo George Kalinsky, il quale gli disse: “Perché non provi qualcosa del genere? Una sorta di droga tra le corde, lasciando che Foreman scivoli via ma, come nella foto, fargli colpire nient’altro che l’aria.”Successivamente il pubblicista John Condon coniò il termine rope-a-dope a partire dalla frase di Kalinsky.Il rope-a-dope viene eseguito assumendo una posizione di guardia chiusa appoggiati alle corde (nel classico caso di Alì, ciò attutì in qualche modo i violenti pugni di Foreman, che scaricò i colpi su braccia e tronco senza riuscire a centrare la sua testa),[1] lasciando che l’avversario attacchi ma allo stesso tempo rispondendo quanto basta per evitare che l’arbitro sancisca la fine dell’incontro per KO tecnico. L’obiettivo è quello di sfinire il nemico ed indurlo a fare errori, così che questi si possano sfruttare per un eventuale contrattacco.Il rope-a-dope è comunemente associato allo storico incontro fra Muhammad Ali e George Foreman del 1974, meglio noto come Rumble in the Jungle. Il temuto Foreman era di gran lunga considerato il favorito per la vittoria, per via della superiore potenza fisica. A partire dal secondo round, Ali si avvicinò alle corde, appoggiandosi al bordo del ring e opponendo resistenza minima ai colpi di Big George. Il pugile di Louisville, durante gli “agganci”, provocava continuamente il rivale, sfidandolo a dare pugni più forti, cosa che lo faceva imbestialire ed indurre a mettere più energia nei colpi, accecato dalla rabbia. Lo scrittore George Plimpton descrisse la posizione di Ali come “un uomo che si affacciava dalla finestra cercando di vedere qualcosa sul suo tetto”. Foreman, provocato da Ali che lo scherniva e lo insultava, continuava a portare senza sosta colpi rabbiosi e violenti che finivano però sulle braccia o sui guantoni dell’avversario. Il risultato del suo sterile attacco fu che, con il passare delle riprese, era sempre più stanco e i suoi colpi sempre meno potenti ed Ali, arroccato nella sua impenetrabile difesa, dava l’impressione di risparmiare le forze e di resistere bene alla violenza dell’avversario. Norman Mailer descrisse il rope-a-dope di Ali in questo modo: “Stando in piedi, è doloroso assorbire un pugno, anche se lo blocchi con un braccio. Il dorso, le gambe e la spina dorsale sentono la scossa. Ma standosene appoggiato sulle corde, Ali non deve più preoccuparsene; sarà la corda ad assorbire il colpo.” Non appena Foreman iniziò a sentire i segni della fatica e dei colpi di Alì, quest’ultimo ne approfittò e si aggiudicò la vittoria per KO all’ottavo round.La tecnica fu usata anche in altri celebri incontri dopo il Rumble in the Jungle.